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venerdì 23 marzo 2012

Lavoro, Monti non cede sull'articolo 18

UN PO' DI POLITICA...



ROMA - Giornata difficile per il governo sul fronte del lavoro. Dopo il no della Cgil, anche gli altri sindacati hanno cominciato a tentennare sulla rivisitazione dell’articolo 18. Tant’è che Elsa Fornero ha provato a rassicurare: «Non stiamo dando alle imprese la licenza di licenziare». Ma ha confermato che il governo non arretra di un millimetro. Con una frenata però. Niente varo al Consiglio dei ministri di oggi: «Manca ancora il testo. L’articolato della riforma verrà definito da noi mentre il presidente Monti fa l’importante viaggio in Asia». 

E niente decreto, visto lo stop del Quirinale. Per oggi è previsto un via libera alla riforma nel suo complesso «salvo intese», ma senza le norme nel dettaglio, in particolare per la parte calda sui licenziamenti. Conclusione: il sì del Parlamento arriverà dopo le elezioni di maggio, probabilmente prima della pausa estiva. Non senza correzioni. 

Che tirasse una brutta aria, dopo la furiosa protesta di Cgil e Pd, gli scioperi spontanei nelle fabbriche e il monito dei vescovi, l’ha fatto capire Raffaele Bonanni entrando nel primo pomeriggio a palazzo Chigi: «Serve un cambio per i licenziamenti economici, anche noi vogliamo il modello tedesco. Speriamo, con il sostegno del Pd, di ottenerlo e di chiarire tutti insieme ai lavoratori la bontà delle soluzioni che abbiamo trovato». La Cgil, a sera, tiene il punto: «L’unico modo per evitare abusi sui licenziamenti è il reintegro nei posti di lavoro, altrimenti confermiamo il fatto che siamo in presenza di un provvedimento teso a rendere i licenziamenti più facili». 

Mario Monti, avvertito dal sottosegretario Antonio Catricalà, ha aperto la riunione promettendo un «chiarimento»: «Vigilerò perché non siano commessi abusi. Sull’articolo 18 abbiamo percepito una diffusa preoccupazione, su cui vorrei rassicurare tutti, che il binario dei licenziamenti economici possa essere abusato con aspetti di discriminazione. Il governo si impegna affinché questo rischio non si verifichi perché è nostro dovere evitare discriminazioni». Va da sé che nel vertice con le parti sociali il ministro Fornero non abbia potuto illustrare il testo del nuovo articolo 18. Il cantiere è ancora aperto e si concluderà solo la prossima settimana. Poco dopo, da palazzo Chigi, è arrivata una precisazione: «Il governo non ha fatto alcun passo indietro sui licenziamenti economici, per i quali non sarà prevista la possibilità di reintegro». Tutto come prima, insomma.

Così, dopo la frenata di Bonanni è arrivata la presa di distanza dell’Ugl con il segretario Giovanni Centrella: «Saremo costretti a cambiare posizione se per i licenziamenti per motivi economici non verrà previsto anche il reintegro e un tentativo di conciliazione obbligatorio». E il segretario della Cisl ha fatto trapelare su Twitter: «Ho chiesto a Monti che se dal processo emergono motivi diversi da quelli economici, cioè abusi, irregolarità nelle procedure o motivi disciplinari, il licenziamento deve essere considerato nullo dal giudice». Immediata l’ironia della Cgil, sempre sul social network: «Ma a quale tavolo siede Bonanni? Nella riunione in corso non si è mai parlato di articolo 18, tranne la premessa di Monti che ha lasciato il tavolo dopo pochi minuti. Bonanni, quindi, durante il vertice non ha mai parlato con Monti». Controreplica della Cisl: «Bonanni ha fatto la sua proposta a Monti poco prima della riunione, perché interessato a trovare soluzioni per proteggere i lavoratori da abusi». 

Fornero, davanti alla zuffa, non si è scoraggiata. E’ andata avanti ad illustrare le altre parti della riforma: «Ci saranno disincentivi sia normativi sia contributivi per professionalizzare il lavoro a progetto e ridurre quella parte che in realtà è lavoro subordinato». Più un giro di vite sulle false partite Iva, «per evitare che queste forme contrattuali nascondano forme di lavoro subordinato». Traduzione politica: «Vogliamo valorizzare la flessibilità buona e contrastare quella cattiva, che è la precarietà. Intendiamo mettere dei freni all’uso improprio di certe forme contrattuali».
Finito il vertice, il ministro ha affrontato la stampa. 

Con una premessa: «Non c’è nessuna marcia indietro sull’articolo 18. E poi marce... il governo fa passi, passi in avanti». E sventolando il testo: «Vedete? La riforma consta di un indice lungo una pagina e mezza, e l’articolo 18 è il punto tre. La riforma è molto più ampia e, a parte la flessibilità in uscita, ha anche il sì della Cgil». Ancora, con un po’ di ironia: «Io sono il crudele ministro della riforma delle pensioni, ma non aboliamo l’articolo 18 e non stiamo dando alle imprese la libertà di licenziamenti facili. Tendiamo a distinguere le fattispecie del discriminatorio, del licenziamento di carattere oggettivo per il quale prevediamo l’indennizzo e del licenziamento a carattere disciplinare soggettivo per il quale diciamo che sarà il giudice a decidere tra il reintegro e indennizzo». Pausa, rivelazione a sorpresa: «Mi sono anche offerta di andarlo a spiegare nelle assemblee sindacali, ma mi hanno detto che è meglio di no...». Ovvio. 

Infine, un appello a Bersani: «Spero che il Pd comprenda che la riforma è buona». Una battuta: «Sono esaurita, dopo questa domanda lasciatemi andare. Ma senza commuovervi...». E una mozione degli affetti dagli inesistenti effetti giuridici: «Le imprese non interpretino la riforma come la licenza di licenziare, così verrebbero meno al loro ruolo sociale. E comunque io ho fiducia nei giudici». Amen. 

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